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Qui si parla di un uomo ancora giovane e sano; di uno scrittore valido e militante, ancora naturalmente selvaggio come un ragazzo libero che non si vergogna dei suoi appetiti; giovane e sano, la cui fisonomia d'artista è già completa, la cui esistenza spirituale, affermatasi nelle forme più insolenti e sincere che mai coltura letteraria abbia assunto dall'Aretino in poi, è giunta alla piena maturità, a un vigore riposato, onde il critico è condotto, per onestà, a raccoglierne e definirne il significato.
Quindi nè pietra tombale nè sagoma coperta d'adulazioni come per un artista che abbia conchiuso la propria carriera e nemmeno ghirlanda di elogi — fiori di freschezza artificiale — attaccata per ricordo ad epigrafi anticipate.
Uno scrittore venuto alla poesia da un cenacolo non potrebbe desiderar di più, ma Papini è venuto dall'azione: è venuto dal Leonardo che fu cenacolo di spiriti gagliardi e fattivi, è venuto dai giornali e dai libri, con voce acuta e desideri d'innovatore, ma con l'anima intatta e presente sulle rudi cose della natura, con l'intelletto sforzato dalla
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coltura ma disteso nella pacifica contemplazione della campagna toscana, con una virile impostatura di temperamento organico e sicuro della propria esaltazione, rimasta sempre come sfondo di una tristezza personale sfogata con impressionante ingenuità ma non ancora compresa dai critici se non come una manomissione d'altrui mondi morali.
È venuto con uno sconfinato amore della vita libera e perciò, affermando idee e giustificando atti non ammessi dal galateo della letteratura bigotta e pedantesca — a far le sberleffe a tutti: come un cacciatore che creda lui solo di conoscere i piaceri violenti della caccia, d'esser lui solo capace di ammazzare la lepre e riportarla sulla canna del fucile, in mezzo a' paesani stupefatti e ai colleghi stizziti.
Dà sulla voce a tutti i letterati indigeni, sventandone i complotti; vuol far tabula rasa nella coscienza nazionale, col tender lacci agli sciocchi, preparare scaramucce e rivolte, assalti e saccheggi nelle repubblichette letterarie e negli staterelli filosofici. Ha bisogno però di assumere un aspetto nuovo, per far colpo. Cerca fra i cento, i mille libri che ha letti, un nome, un abito, una maschera; svoltola fra i costumi che ha studiati fino alla identificazione, penetra negli spiriti che più raffigurano il suo essere presente e futuro, ed eccolo con un sacco d' ingredienti, senza viltà nè vergogna, costruirsi un proprio mondo poetico. Reminiscenze di buoni e cattivi studi, palesamenti di robusti contatti, predilezioni intellettuali per le nevrastenie letterarie degli ultimi simbolisti e decadenti francesi, sorrisi promettitori al pragmatismo di James, all'intuizionismo di Bergson, alla filosofia della contingenza di Boutroux, diresti che lo scacco è inevitabile, che l'oppressione è decisiva, di già, invece
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dura un momento, s'infrange nella tragedia che Papini incomincia a vivere fin dalle prime battute del prologo, nella violenta operosità che Papini inizia per rappresentarsi.
Quei libri invece di un fresco poeta della vita all'aria aperta, ne fecero un raffinato, il cui carattere essenziale pareva consistere in una intensità anormale di vita nervosa; invece di uno sposo fedele alla filosofia, un fidanzato inquieto e volubile: di una inquietudine che lo indurrà a tentar tutte le forme e tutte le tecniche senza permettergli di creare l'opera rappresentativa, di primo acchito; ma intanto non si può dire: passano le ore e il sereno non viene, perchè ogni suo scritto è di buona marca in confronto alle omeopatiche cartine che siamo costretti ad ingoiare in omaggio alla perversa Francia e alla santissima Russia.
Cosa vuoi che ti dica un ragazzo nato in campagna e affogato, nel crescere, tra i libri, se non la tortura di questa sua anticipata morte spirituale e la nostalgia per la vita terrena che avrebbe potuto godere e rivelare nella piena gioia del canto?
Cosa vuoi che faccia un giovanotto venuto su a forza di letture proibite, condannato a fare il palombaro di rarità bibliografiche dalle esigenze di una rettorica senza nome; un sognatore di audacissimi sogni colpito dalla sproporzione fra la sua e la vita di tutti, fra la letteratura altrui e la propria, fra gli altrui abiti mentali e la propria ambizione che si preavverte, pregiustifica e vuol offrirsi?
Superato ogni imbarazzo di scelta, si ferma ad una letteratura che non corrisponde, nel significato sentimentale, alla letteratura di commercio più in voga: ci son dei poeti ma son dei tristi epigoni e dei tumulatori d'emozioni. Deve impostare il suo canto come il loro canto? Meglio cercare
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nuove intentate associazioni di ritmi, di timbri, di suoni. Ci sono i filosofi: ma costruiscono i loro casotti con ritagli d'idee. Deve inforcar gli occhiali e brandir le forbici? Meglio costruire sull'assurdo a costo dei più clamorosi sfaceli, e prima di tutto aprirsi un passaggio libero fra tante teorie per una futura ascesa.
Così non ci troveremo in quelle direzioni spirituali che piacciono a tutti perché tutti le seguono senza fatica, in quei viottoli di preferenze ideologiche che una volta aperti si lasciano pestare da tutti i piedi: ma nel bel mezzo di una sintesi d'eliminazione per aprire ad ogni costo un passaggio dove il fango nutre la malerba.
C'è molto da falciare, vangare e poi rassodare. Elementi discordi da armonizzare, valori morali e spirituali da conquistare, rapporti intellettuali da rompere o allacciare, affermazioni da chiarire o contraddire, conseguenze da accertare, intenzioni da processare: i mezzi si giustificheranno in base ai risultati. Intanto importa arricchire la propria bandiera di cospicui distintivi.
Questo proposito, nato e maturato in opposizione al già "detto" e "sentito" gli fa vedere su quale abisso si libra, gli preannuncia un necessario cambiamento di scena, lo salva dalla prima caduta fatale: tutti quei libri son documenti spuri di generazioni bastarde, dai quali sono derivate molte disfatte e poche vittorie. Ma utilizza tutto il suo tempo nella lettura dei libri, di quelli che ha a portata di mano, che scopre, che gli vengono indicati; tra i quali trova degli alleati pericolosi, con la speranza di scoprirci dentro il mondo di qua e il mondo di là, quello conosciuto da tutti e quello riservato agli intelletti superiori.
Fin dalle prime saggiature vede in quali batte una vita
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senza perno e fuori di ogni possibile rispondenza; in quali sfarfallano curiosi giuochi di equivoci interiori e di controsensi; in quali sono germi di idee sane, affermazioni di volontà cosciente, mondi costrutti con sapienti combinazioni di significati; in quali il processo interiore è reso con tocchi risoluti e immediatezza di rappresentazione. Ce ne accorgiamo dalla scelta, dalle citazioni, dalle edizioni curate, dalle simpatie coltivate, dalle inimicizie provocate.
Con l'efficacia persuasiva della propria parola certi intelletti hanno corazzate le camere ignote dell'anima per difenderne le sottigliezze o le invenzioni; hanno risposto alle esigenze degli uomini mettendoli in diffidenza o in armonia con certi perchè; si son gettati nelle avventure più aspre, hanno scoperti sottosuoli alla vita, spianato psicologie, ripassati avvenimenti storici, ma non sono riusciti dei buoni impresari del proprio ingegno. Strappare tesori in fondo al mare dell'anima e guadagnarsi a pezzi e bocconi il frutto della nostra febbre di scoperta — sentirsi e rivelarsi - poeti — musici — pittori — nella poesia, nella musica, nella pittura, significa dissolvere un dramma interno e crearne un altro, risolvere un urto di passioni e determinarne delle maggiori, non già allacciare i nostri ad atti altrui, offrirsi in olocausto, abdicare alla propria personalità, utilizzare le proprie attitudini e sfruttarle. La mente attiva di Papini ha trovato sè medesimo leggendo: accumulando ogni guadagno d'esperienza culturale (razzie dappertutto) senza premeditazioni interessate, quindi inconsapevoli, e penetrando poi la sostanza di questa preparazione erudita, si spiana il campo alla filosofia, di primo acchito, ma si chiude ogni possibilità di compenso materiale. Alla provvista quotidiana delle letture, che avrebbero dovuto portarlo per binari comuni al polo già
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scoperto - o almeno accertato - della verità, succede un appassionamento ai problemi più trascurati e una ripresa di quelli più discussi: i volumoni che hanno fatta un'intera generazione di filosofi, non schiudono al Papini i loro tesori nascosti. Egli dubita non già che vi sia qualche cosa di buono e di vero, ma che questo qualcosa equivalga un tesoro: quindi non gli riesce possibile promuovere nè accordi spirituali, nè collaborazioni con quei giganti del pensiero — tedeschi e francesi in specie — che si chiamano Kant, Hegel, Spencer, Comte, Schopenhauer, Nietzche.
Nella giovinezza di tutti noi che studiamo e facciamo dell'arte c'è un periodo in cui diffidiamo ostinatamente di tutto quel che ci è stato caro nell'adolescenza: l'ingenuità si cambia in sospetto, e al poeta che ci sedusse sostituiamo il critico che ci persuade, incerti se un meccanismo mentale ben congegnato sorreggesse allora il poeta o sorregga oggi il critico e noi. Incerti: e intanto non osiamo tornar sopra alla nostra sensibilità di adolescenti, e ci sentiamo - coscientemente — meno noi. Allora nascono le glosse al proprio momento spirituale, le note in margine al nostro cuore: si piglia più confidenza con noi stessi, ci si incomincia a studiare, punto per punto. Dovremmo poi ripiegarci soltanto su noi stessi, renderci ragione di quel che sentiamo oggi così timidamente e di quel che si sentiva allora tanto divinamente. Dalle parole a mezz'aria si ricostruisce il primo discorso dell'io più profondo: l'ago magnetico che segna direzioni senza approdo. Ci si avventura e si scopre: e nascono le reazioni. Allora si sente il diritto di offendere i più delicati orecchi se le nostre scoperte incontrano ostilità, rancori, sberleffe; allora si sente il diritto di violare le leggi delle chiuse congreghe allora la nostra anima determina le
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sue crisi per salvarsi. E se qualcosa di tradizionale continua a vivere e realizzarsi in noi, non è la parte migliore, quella che più ci fa sperare avanzamenti, successi e riposi.
Da questa crisi nasce la filosofia individuale di Papini contro l'idealismo di Heghel, il criticismo di Kant, il positivismo di Comte, e via dicendo. Avvento del Superuomo? Qualcuno lo disse un epigono di Nietzche, anzi un triste epigono: tutt'altra educazione ha avuto. Bastano queste due puntate a dissipare ogni dubbio
".... questa impotenza del Nietzche si manifesta non solo nel fondo del suo pensiero, ma anche nel modo col quale lo esprime. La sua volubilità, segno di facile stanchezza, se gli fece preferire la forma frammentaria e aforistica, la sua capacità a scegliere fra tutto quello che pensava e scriveva che gli fece pubblicare una quantità di pensieri inutili o ripetuti; la sua riluttanza a sintetizzare, a costruire, a organizzare che dà ai suoi libri un'aria di mercati orientali ingombri di cenci vecchi e di drappi preziosi ammucchiati e mescolati senza ordine, sono dei buoni argomenti per supporre una mancanza di imperium mentale, riflesso della fiacchezza generale del filosofo.
Ma la prova più inaspettata di questa fiacchezza consiste, secondo me, nella sua incapacità ad essere veramente ed autenticamente originale 1.
"Il Nietzche ha dato prova di ristrettezza mentale" e mentre "la sua debolezza non gli permise le grandi decisioni come non gli aveva permesso le analisi profonde" la sua superficialità "lo porta a delle contradizioni di una ingenuità vergognosa".
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L'opera del Nietzche non si riduce all'idea del Superuomo: questo ha visto Papini per primo; ma se è riuscito a possedere lucidamente il lirismo della sua filosofia, confondendolo nella sua propria nativa tristezza personale, non ne è rimasto sopraffatto. Così, egli ha capito del Bolltroux la parte più interiore e vitale, quella che salva le maggiori aspirazioni della vita ha posseduto e divulgato di James, quel metodo di riflessione e di ricerca che oggi si chiama Pragmatismo, e del Bergson la filosofia dell'intuizione, e del Vailati la parola d'ordine, cioè lo studio del metodo e gli strumenti della conoscenza, studio e mezzi di studio che trovano "il punto ottimo nel famoso Pragmatismo" 2, formulato dal Peace.
Di queste simpatie s'è parlato spesso, ma bisogna vedere come queste confluenze si sono raccordate, a quale concreta realizzazione son giunti questi sbocchi.
L'albero t'interessa in quanto albero, non perchè ha le radici più o meno in profondità o alla superficie: l'anatomia spetta al naturalista, come lo studio delle fonti all'erudito. Quando si studia un artista non si deve sbriciolarlo e comporne pastiglie di luoghi comuni. Si sa che l'artista non va, nè può andare sopra un binario fisso, in cui si possa seguire passo passo, raccogliere se cade, rincorrere se fugge: l'artista s'apre porte segrete dappertutto, scale sotterranee e rifugi aerei, nei regni dell'assurdo e sulla terra ferma. Cosicchè quando dici: l'artista qui si smarrisce, sei tu invece che ti perdi nel labirinto dei tuoi ragionamenti, i quali son sempre così e così e ti conducono fatalmente dove non crederesti mai di andare. Dunque ti basti scoprirlo l'artista, e
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lascia da parte le notomie letterarie. Il travaso delle idee e dello spirito, il bilancio degli atteggiamenti, la situazione dei valori morali e intellettuali, può farsi di qualunque personalità, perchè ognuna ha i suoi termini di rapporto.
Nell'opera di Papini, quelle confluenze sono naturali, quei raccordi di armonia italiana con le dissonanze della poesia e del pensiero francese sono evidenti, ma dalle invettive spregianti (Aretino? Baretti? Carducci?) scintillano i baleni di una procella spirituale e negli approcci di simpatia ardono i fuochi della gioia. Spirito tragico arriva all'ironia più amara, alla beffa più comica, all'invettiva più violenta; alle prese con l'ingiustizia e le sofferenze si sbizzarrisce in apostrofi lucide come lame di coltello, sì esaurisce in brividi ghiacci come la febbre della morte: crea gli scandali più mussanti e ordisce i trucchi più volgari. In preda alla ripugnanza o si riscalda di passione o s'accende di voluttà omicida.
La sua attività si sparge: novella, filosofia, romanzo, storia, politica, religione, poesia; ma la sua anima si raccoglie.
Inferiore a dieci altri per preparazione erudita dice con verità di cuore e di parola ciò che è la sua vita quali sono le sue aspirazioni, senza lasciare inespressa quella parte di vita reale che non si scalda di passioni e si sostiene d'idee, ma si nutre di fatti e si diletta di piaceri.
Il filosofo e il poeta, il teologo e il polemista riescono a fondersi armonicamente, in modo da non lasciarci il dubbio di un'impotenza a creare.
Possiamo dire, a volte: qui c'è Oriani, Rimbaud, Carducci; c'è Vailati, Bergson, Boutroux, James; c'è Aretino, Doni, Campanella, Sarpi; c'è tutto quel che volete. Buoni ammaestramenti sempre, non c'è dubbio; ma la facilità
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dell'azione non esclude il potere creativo, non ostruisce quello spiraglio che è nell'intelletto di tutti, attraverso il quale passa il creatore per risvegliarci. Nell'intelletto di Papini passa dalla ricerca della verità assoluta all'amore del bene assoluto. Vi passa, senza fissar relazioni, e crearci dentro una speciale dinamica di "perchè" e di "come" da chiarire, sorpassare, trascendere. A volte invece gli fanno fare un bel passo verso l'interno e allora l'intelletto persuade il cuore trasportandolo dalla futilità della critica ai suoi più dolorosi segreti.
Esperienza. Gran parte dell'attività di Papini si riduce a prove, contro-prove, confronti, esperimenti.
L'esperienza forma il carattere e lo prepara all'opera d'arte, cioè alle conquiste e ai possessi di ciò che — in principio e alla fine — è dono della natura; apre l'istinto, e lo educa, l'indirizza, lo sforza ad attuare ciò che ha in sè di potenziale. La poesia non ha avuto origine dai libri, ma i libri sono scaturiti dalla poesia; e quando si verifica l'inverso non si ha più la poesia ma un riflesso della poesia.
Questo non è il caso di Papini poeta, come vedremo più avanti.
Così la critica: se deve intendersi per critica un premeditato impiego di facoltà per un fine oggettivo pratico, si possono raggiungere le conseguenze volute e attese, ma non si supera la nostra natura meccanica; se invece deve intendersi l'esame della creazione spontanea al lume dell'anima nostra, impiegando in questo lavoro di scoperta tutte le facoltà dello spirito in armonia, allora nel tempo stesso che si valuta un mondo ne scopriamo uno nuovo, uno nostro.
Così Papini: è riuscito spesse volte artista — nel senso di anticipatore dell'opera d'arte, di creatore accanto e dentro
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altre creazioni, facendo della critica o dell'anticritica come egli dice in Testimonianze. Altre volte invece sui fondamenti barcollanti d'altrui edifici riesce a inalzare, fermo e ben costrutto, il suo castello ideale, come nelle Stroncature e in alcune parti di 24 Cervelli.
A proposito di questi libri, raccolte d'articoli, s'è parlato con insistenza dell'Aretino e del Doni (vedi le pagine su Cecchi, Manzoni, Ferri, Ardirò, ecc.) del Baretti e del Bettinelli, di Oriani e del Carducci, tanto per ricercare gli sgorghi italiani nel laghetto papiniano; a proposito del Crepuscolo, dell'Altra metà e del Pragmatismo si son citati — non a caso — i nomi dei filosofi di moda: Bergson, Boutroux, James, Vailati, Nietzsche e Wilde; a proposito di Cento pagine e Opera Prima si sono riscoperte le immagini di Verlaine e Rimbaud, di Mallarmè e Baudelaire, di Villon e Paul Fort, per svelare gli innesti di sensibilità che hanno formata e sviluppata questa personalità: ma che si prova? Un bello spirito s'appoggiava a un'altra ringhiera: il poeta negro Tanko! Si vuol provare quali elementi sono in giuoco, ora cementati in aspetti nuovi, ora restituiti senza alcuna mischianza, nella personalità papiniana; si vuol provare a condannare la giustificazione che il Poeta, il Filosofo, il Polemista fa ad ogni passo della propria vita e della propria esperienza; si vuol diminuire o delimitare, con rammarico, l'importanza di tante rappresentazioni genetiche d'un temperamento poetico, indicando analoghe direzioni di atteggiamenti, analoghi spostamenti, risonanze ed echi che disturbano l'originalità, interrompono l'ispirazione; accensioni a freddo per fatti di coltura, trasformazioni di vitalità fantastica in brutali accenti imitativi. — Si vuol far di Papini un topo di biblioteca; specie dagli ultimi venuti.
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La biblioteca, invece di sottoporlo alla logica ferrea dell'erudizione, di offrirgli pillole di saggezza, di morfinizzarlo e annientarlo, gli soffia dentro la sensibilità capricciosa, disgregandovi vecchi dolori filosofici e nuove gioie letterarie prodotte da piccoli slanci a ritroso nel già fatto, detto e tentato, e spazzandovi la cenere culturale, residui di un'educazione sbagliata, gli scova la scintilla che l'accenderà di nuovo ardore a tentare — e raggiungere — un rinnovamento essenziale della propria sensibilità, a ribellarsi per liberarsi.
Ma siccome non s'aveva, intorno al 1905, presente la necessità di una rispondenza tra le idee operanti e quelle che sono in noi, dell'esterno con l'interno, la sincera e aperta violenza papiniana urtò e offese come una sgarberia ciranesca.
Non bisogna dimenticare che al momento della sua formazione fra le forze letterarie vive c'era Carducci, la cui influenza ha un valore predominante nel bilancio complessivo dell'opera compiuta fino ad oggi. Non che si agiti in lui la stessa fede storica e si ripeta la stessa incapacità a risolvere i processi interiori, ma perchè gli suscita un bisogno continuo di sicurezza assoluta e di riposo, in uno stile italiano.
"Quella sua fierezza di maschio sicuro, quel suo rugghio di guerriero ferito quando toccavano i cari depositi affidati alla sua guardia; quella sua stessa superbia di aristocrate che sente d'avere il diritto di parlar forte e di prendere sudici omiciatti a pedate e mazzate; quella sua strafottenza di uomo che non vuol nulla da nessuno e chiede il suo nè cerca di più; quella sua bella fame di libertà, di verità, di giustizia, soprattutto di verità sono state per noi giovani ammaestramenti di salute. Se la generazione presente ha più
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arditezza nel combattere, più dignità nello scrivere, più senso del perfetto nell'arte, lo deve, prima che ad altri, a Carducci" 3.
Nei libri di polemica pubblicati fin qui da Papini senti il fischio della frusta carducciana, il fracasso delle santissime legnate orianiste.
Quando vuol distruggete con un pensiero solo interi sistemi filosofici, ha del temerario e l'avvelenamento lirico che egli tenta scuote i visceri a tutti quegli studiosi che hanno assimilato e digerito le colossali cibarie tedesche; quando si trova al bivio fra la filosofia di Bruno, Campanella, Vico, Ferrari, e le moderne idee franco-anglo-americane e sceglie senza tanti misteri; quando fra l'arte indigena di Carducci e le straniere scorrerie di D'Annunzio, oppure fra le tradizionali affermazioni e rinsaldamenti e le nuove immistioni franco-americane (Rimbaud, Whitman) cerca un brivido nuovo, da marcare con la propria sigla, Papini non fa che portarsi alla scoperta dell'io, come individualità. Di qui trasferimenti o alterazioni: che non sono punti d'arrivo o spostamenti di centri propulsori; ma trasformazioni imposte dall'attività cosciente (es. l'unione dell'io individuale, con l'unione dell'io universale). Il periodo che intercorre fra questo passaggio è preparazione (polemica — politica — esperienza — finzione). In questo periodo tutto gli è stato possibile, tutto gli è stato concesso: ma non è lì, che deve essere inchiodato; lì non c' è più.
Per questo puoi trovargli cento termini di confronto se sei in vena di paralleli: ma oggi vedi chiaramente quanto c'è di originale nell'interno e di spurio alla superfice. Carducciano:
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nella muscolosità, maschilità, veemenza, italianità della prosa; nel disinteresse e nel galantomismo, non però nella forma mentis; nella struttura sentimentale e poetica, nell'educazione letteraria.
Gli elementi della mentalità papiniana sono stati ordinati e preparati grado a grado, con fatica di cervello, con disperata pazienza, attraverso cessioni, strappi e ricuciture dell'io illusorio, abdicazioni e riconquiste personali, abbandoni di vecchi istinti e sanzione di nuove fisime, attraverso lotte asperrime, cadute in miseria e rialzi nell'oro, fallimenti ideali e speculazioni fortunate. E quante volte il castello dei sogni è rovinato altrettante è risorto: il mito d'Ilio si ripeteva ogni giorno. Poi il cervello e l'autocoscenza hanno fatto da testimoni al battesimo d'una trasformazione d'anima. Allora il pensiero gli perde fisonomia, e il sentimento acquista evidenza, il cervello tace e il cuore parla, il critico s'apparta e il poeta s'esibisce.
Dal senso tranquillo della sua identità di tutte le cose (in cui l'umanità di Papini s'inalza), dalla camera segreta dell'anima aperta a tutt'aria in cui risuona l'armonia di tutte le attività più germinali dello spirito, ecco sollevarsi di nuovo il cervello, ancora insoddisfatto della sua ricerca; ecco emergere la coscienza di un nuovo sè, a chiarire e giustificare, a inaugurare un nuovo periodo di preparazione per altre conquiste, nuovi approcci di simpatie, nuovi morsi di rabbia, nuovi tormenti interni e nuove liberazioni. Pulizia e igiene dell'anima.
Questa volta però l'affiliazione del cervello al cuore deve essere meno discussa, perchè meno dubbia; nella ricerca vigile ma dolorosa del primo, c'è il sostegno appassionato e disinteressato dell'altro. Questa esperienza che lo riconduce
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alla sua vera origine attraverso progetti, pensieri, propositi, desideri già obliati e negati, questa esperienza, come identità sforzo incessante verso una identità col sè universale, non poteva aver sostituti nè appagarsi di diversivi. Si lascia, in tutte le forme d'attività, uno spazio riservato, dove però le emozioni entrano liberamente a una a una, o per un moto della mente o per un impulso dell'azione, a farvi la loro posata.
James gli insegnerà che l'individuo ha il diritto di dare ascolto ad una fede personale affrontando ad occhi aperti i rischi che lo aspettano. Ma la sua attività di scettico morale e intellettuale, seppure intraveda attraverso l'esperienza di costui, un mondo diverso dal suo, non lo distoglie dall'atteggiamento di dubbio che adotta con sè stesso nell'aspettar nuovi lumi. Regna la sua anima, la sottopone alle più dure prove, la tortura, e non si rifiuta di sceglierle una posizione diversa; ma incapace di felicità non può aderire ad accordi con l'anima totale dell'universo.
Da Bergson, Lamennais, Cartesio, Leonardo, Vailati, da
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tutti i filosofi, anche da Bruno e Campanella, anche dagli accademici del seicento, perchè tutti li ha letti e molti ne ha posseduti — ha tratto qualcosa; ma allorchè s'è accorto cuore contro cuore, cervello contro cervello, che da questo esercizio di letture nascevan contatti che lo deformavano, licenzia la filosofia con un addio venato di sapidi paradossi i quali mostrano la sua insoddisfazione dolorosa, la sua delusione amara, il suo disgusto. Ci si era accostato fanciullo, ma nessuno riuscì a farlo padrone del suo destino.
Qualunque cosa avvenga, il nodo solido centrale del dramma della coscienza papiniana è qui, nel fenomeno di vibrante volontà — e non di viltà — che per conoscer sè stessa accetta gusti latini ed esotici, aspirazioni e tendenze proprie ed altrui; esperisce interi secoli d'espressione artistica; si colora di tutte le colorazioni; si sottopone a tutti gli innesti. Qualunque sia il carattere dell'uomo noi non dobbiamo chiedergli che di manifestarsi sinceramente nell'arte sua. Papini ci ha mostrato, a più riprese, la verità del suo vero essere, e chiunque ne abbia voglia può giudicarlo, ma a patto che l'abbia ben conosciuto e inteso per intiero, secondo coscienza, non fermandosi ad una qualunque espressione isolata.
Papini è per natura inclinato a cercare e produrre la bellezza dell'arte pura, anche coll'artificio, a cercare con disperata fiducia la verità in sè stesso — non le verità comuni, ma quella verità "nuova luce del mondo, nuovo sangue pei nervi" che è nell'impossibile; è per natura forzato alle scorrerie intellettuali, alle avventure di idee, a tentativi assurdi di trasformazione ed evangelizzazione (missionario di una fede opposta ad ogni fede, di una fede tenacemente costrutta sul no assoluto); è portato a lirizzare, con tentativi,
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indicazioni, precipitazioni, svolgimenti, la sua negazione rumorosa e risoluta, ora gloriandosene, ora piangendone. Caduta? Discesa? No. Sollevamento su ali di pensiero? Conquista dell'Io, Signore quanto Iddio, conquista dell'anima fatta padrona del mondo, conquista della mente fatta creatrice della verità? No.
Non c'è lui solo nella sua opera, la sua ambizione, la sua volontà, il suo ingegno, la sua infelicità: c'è la glorificazione dolorosa – funebre del suo genio, tutto ciò che egli vede e sente, la sua sensibilità d'artista, il suo carattere di uomo che si oppone e antepone a tutti negando, - distruggendo, piangendo, ma tentando per suo conto. Con la conoscenza di questo carattere si spiegano le ragioni di tutto ciò che scrive.
Qui è la radice del suo pensiero e della sua arte, perché non si tratta di uno sterile prodotto letterario, ma d'una disperata affermazione del proprio potere, dell'affannosa lotta dell'uomo contemporaneo con l'uomo eterno; che vuole emergere al disopra delle limitazioni e si sente basso in tutti i climi dell'equatore spirituale, e si esaspera nella ricerca, si esaurisce nella possibilità di potersi condurre dove vorrebbe andare.
Questa ricerca di un vero assoluto identificazione del sé con l'io libero, onnipresente ed onnipotente — attraverso le tenebre, attraverso "l'inferno dell'insaziante particolare in odio al paradiso dell'unità e dell'ordine", con la curiosità e la temerità che pochi hanno di accostarsi alle faccie sconosciute dell'essere, coincide con la ricerca di forme nuove, effetti nuovi, soggetti nuovi in poesia, nella novella e nel romanzo: caratteri necessari del suo carattere.
"C'è bisogno del nulla di Mefistofele perchè un Faust
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vi trovi il suo tutto". Il tema del dramma è questo. Affermare un mefistofelico no ad ogni sì: star nel no, "perchè altri possa scoprire nuovi sì".
Da questa orgogliosa e disperata applicazione dello spirito nasce il coraggio — una forma plebea tutta toscana di coraggio — che lo sosterrà nella prima sua formazione fino alle Stroncature.
Si forma una crisi - cioè un interno rivolgimento del suo mondo morale e poetico — della quale non vedremo la risoluzione che dopo parecchi anni.
A vederla nella sua totalità l'opera polemica di Papini sembra un subbuglio di bile, di orgoglio, di scontentezza; mentre invece rappresenta la giustificazione dei suoi atteggiamenti filosofici, e legittimità del suo mondo poetico, di cui è ora un prolungamento, ora una necessaria rifinitura.
Non è difficile vedere come spesso tutte le attività di Papini siano contemporanee: non c'è volume in cui non si sorprenda accanto a un giudizio critico un piccolo nucleo poetico, non c'è articolo di giornale in cui non scappi fra i rimastichii della bocca lardellata di coltura la sua facoltà poetica, a salvare capra e cavoli.
Anche quando coltiva le forme più difficili di coraggio: il ridicolo, il disprezzo, l' ingiuria; e per innalzar se stesso piega sotto la sua sferza uomini più grandi di lui, ci sono momenti di padronanza, di intimità, di possesso che suppliscono alla totale assenza di bellezza come surrogati ingegnosi e accettabili. A volte - poichè nelle fasi della sua vita d'artista c'è un po' della vita di tutti noi giovani - la poesia vive nel centro d'un conflitto, a nobilitarne il significato,
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a ingrandirne l'interesse, a giustificarne le conseguenze.
La sua natura tormentata sforzata a inasprirsi e acuminarsi di continui ostacoli, in modo che ogni passo in avanti rappresenti una conquista; la sua vita irta di contraddizioni e imperfezioni, sostenuta dal pensiero per una liberazione e un ritrovamento nei culmini dove non si raccoglie più nulla ma si vive in armonia; è un'angoscia continuata, cui aggiungono forza alcuni oricalchi rettorici, ma senza languori elegiaci. Nei venti volumi che formano fin quì l'opera di Papini, è espresso un mondo in tutta la sua più lucida profondità: non ancora compiuto, non ancora perfetto, dove le imperfezioni hanno la forza di intervenire a tempo ad acquistargli respiro più vasto, ritmo più sonoro, dove le contradizioni sono di tal natura che lo pervadono tutto, perché prodotte da una necessaria concentrazione dell'egoismo per potere affermare la propria debolezza come potenza, il proprio speciale carattere contro gli urti di tutti i sistemi.
Abbiamo, nel primo periodo, uno sforzo individuale che rompe ogni equilibrio fra Papini e il mondo con una serie di sviamenti, di falsità, di soluzioni sofistiche, conseguenza; il dolore; ma non riesce in questo fatto concreto a simbolizzarsi. Dopo l'atto eroico dell'affermazione del no mefistofelico non resta in lui di valevole proprio niente; ha stritolato se col tutto, è finito col suo eroismo, è caduto fatalmente col suo mondo: un dramma s'è chiuso.
Ma presto s'inalzerà (secondo periodo) dal nodo centrale di questa tragedia (Uomo finito) ed affermare la vera costituzione del suo essere più intimo, la sua nativa disposizione alla poesia, che è solo e quanto di eterno ha nell'anima
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e che nessun sacrificio all'azione ha stancato o venduto. (Opera Prima).
Papini è dunque un poeta: la sua filosofia si affatica intorno all'assoluto, ma ciò — dalla definizione stessa che Papini ci dà del poeta - è compito della poesia. Egli, dai fatti di coltura è rimasto acceso nella fantasia, dalla prima incapacità di calore vitale s'è trasformato alla commozione poetica.
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